Omelia di P. Roberto Strano in occasione del funerale del camilliano P. Antonio Aiello

Letture bibliche: 2 Cor 4,14-5,1; Sl 22; Lc 24,13-35

Eminenza reverendissima e carissima,

Carissimo fratel Carlo, superiore provinciale

Cari confratelli,

Amici tutti,

reputo un singolare privilegio poter meditare insieme con voi la Parola che abbiamo proclamato, nel contesto di questa liturgia esequiale in suffragio del nostro carissimo P.Antonio, dell’amico Padre Antonio, con cui ho condiviso tanti anni di “buon vicinato”. Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta quattro “flash” fondamentali, che a me sembrano abbiano caratterizzato l’esperienza umana e sacerdotale di Antonio: la

strada, l’incontro con Gesù, la Parola e il Pane.

La strada, innanzitutto. Qualcuno, eccessivamente moralista, dice che la strada è il luogo della perdizione; invece, la strada è il pulpito più grande da cui Dio parla agliuomini. Ecco perché Gesù era sempre in cammino, perché Lui vuole trasformarci da viandanti in pellegrini, per questo motivo si affianca a ciascuno di noi, per far sì che quella strada non conduca laddove noi vorremo giungere, ma dove Lui vuole che giungiamo. Così dovette essere per il trentenne Antonio, quando a differenza dei due discepoli sulla strada incontrò Gesù di Nazareth , lo riconobbe subito e, forse, come il 2 febbraio 1575 quando Camillo dè Lellis si convertì, anche lui disse a Gesù. “non più mondo, non più mondo” e in questo c’è tutto l’atto di donazione della sua vita a servizio peculiarmente degli ammalati. Non si è, però, solamente malati nel corpo, tante volte lo si è nell’animo, nello spirito, e Antonio ha avuto questa grande capacità di saper penetrare negli spiriti, di saper discernere, di saper aiutare a conoscere la volontà di Dio in ciascuno di noi, a riconoscere ed accogliere tutti, senza alcuna remora che potesse obliare questo tutti, perché sapeva che tutti Cristo aveva redento sulla croce. Dall’incontro con Gesù scaturisce ciò che lo stesso Maestro consegna ai due discepoli: la Parola. Antonio era un uomo essenziale, parco di parole, ne diceva poche ma vere, quelle che scendevano fino al cuore e le contagiava con la sua bella risata, perché ogni animo potesse rasserenarsi, poi – magari – per concludere ci fumavamo una bella sigaretta. Di questa Parola Antonio è stato “divoratore”. Come il profeta Ezechiele l’aveva sentita dolce al palato e amara nel ventre, ecco perché doveva annunciarla con sobrietà ed essenzialità, accostandosi agli altri, senza invadere la libertà altrui. Chi ha avuto la possibilità di accostarlo, soprattutto nelle corsie dell’ospedale, ha visto che il Cappellano non era lì per distribuire “santini”, era per farsi prossimo, attento agli altri, per portare non una parola sua, ma la Parola eterna e creatrice di Dio. Quella Parola, che aggiunta all’elemento – come scrive sant’Agostino – diventa sacramento sull’altare.

Il Pane, costituisce il “cardine” della vita sacerdotale. Quando veniamo ordinati sacerdoti ci vengono consegnati il calice e la patena. Il vescovo accompagna questo rito esplicativo con queste parole “ricevi le offerte del popolo santo di Dio, per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al sacrificio di Cristo Signore”. Non è un atto di devozione l’Eucarestia, se, come scrive la Lumen Gentium, per tutta la chiesa “è fonte e apice della vita cristiana” (n.11), lo è, soprattutto, per il sacerdote, il quale, nell’Eucarestia, rinnova ogni giorno la propria offerta sacerdotale: “per voi e per tutti” e quando prima della comunione mostra Gesù, realmente presente nel pane, mostra la verità di Colui che ha celebrato: “ecco Colui che toglie il peccato del mondo”. Per questo Antonio era, come diceva fratel Carlo all’inizio della celebrazione, così riservato, così semplice. Uno dei pochi, che ho conosciuto nei miei tanti anni di sacerdozio, che ha applicato il dettato conciliare in cui viene detto che “la liturgia deve splendere per nobile semplicità” (Sacrosanctum Concilium, n. 34), non per fronzoli. La pacatezza della voce, i movimenti lenti facevano sì che quella celebrazione fosse veramente il “centro” della sua vita sacerdotale.

Noi ringraziamo, stasera, innanzitutto il Signore perché ci ha dato la possibilità di incontrare lungo la strada, un compagno di cammino come Antonio, che ci ha

accompagnati e sostenuti, che ci ha permesso di gustare la gioia dell’amicizia, di

relazionarci. Perché la verità di una vita donata non sta solamente nell’osservanza dei

voti religiosi, ma nella capacità di saperci relazionare, la capacità di essere insieme con

gli altri, di essere attenti agli altri, di portare in sé e di conseguenza sull’altare, come

recita il proemio della Gaudium et spes: “le gioie e le speranza, le tristezze e le angosce

del mondo intero”.

Ci addolora a sua morte, inattesa e improvvisa, ma, Gesù stesso ci dice: “Voi tenetevi pronti, perché non sapete né il giorno, né l’ora in cui verrà il figlio dell’uomo”(Mt 24,

37-44). Siamo altresì certi, come ci ha ricordato San Paolo nella prima lettura, che mentre questa abitazione sulla terra si arrotola, si disfa è “preparata un’abitazione,

non costruita dalle mani dell’uomo, nei cieli”. Antonio gode, adesso, della beatitudine promessa ai servi buoni e fedeli del Vangelo, nella compagnia dei Santi, insieme alla

Madonna della salute, San Camillo e tutta quella schiera che lo ha preceduto, nella certezza che “felicità e grazia – come ripeteva l’orante nel salo responsoriale – gli

saranno compagni tutti i giorni della sua vita”. Amen.


Don Roberto Strano





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